Verso Tulear, al mare a Mangily (Ifaty) (giorni 10,11,12) Dopo una notte a Ambalavao attendiamo il taxi-brousse in arrivo da Fianarantsoa, su cui avevamo prenotato tre posti. A mezzogiorno ancora non si è visto, e Caroline telefona: non essendoci abbastanza posti occupati, la partenza di stamattina è stata annullata, ce ne sarà una stasera. Per un caso fortunato, fuori dal nostro albergo c'è un autista che deve portare una signora a Tulear (e al quale fanno comodo altri tre passeggeri paganti): allo stesso prezzo del taxi-brousse, per una volta viaggiamo comodi e senza fare soste.
La sera siamo a Tulear, facciamo una passeggiata per vie buie e piene di gente, e infine troviamo un ristorante dove cenare. Probabilmente molti ristoranti sono chiusi perché è Pasqua. Per la notte abbiamo scelto un alberghetto magari "un po' troppo" economico: i giovani dipendenti, avendo forse perso l'abitudine ad avere dei clienti, si guardano film porno nel cortile, con gemiti e tutto, a 2 metri dalla porta della nostra camera (che chiude male). Abbiamo dovuto chiedere loro di abbassare il volume...
Il giorno dopo cerchiamo il taxi-brousse per andare a Ifaty, 22 km di pista sabbiosa. Ci sono solo camion stipati all'inverosimile... Ne troviamo uno più piccolo dove ci sediamo per terra fra i piedi della gente, c'è abbastanza spazio, ma ci siamo illusi: continuano a far salire gente finché non siamo tutti una massa compatta e senza spazi vuoti. 3 ore fra le più scomode della nostra vita. In occasione di un insabbiamento esco (Paolo) e continuo il viaggio appeso dietro con i giovani locali, per spostare il dolore dal sedere alle braccia...
A Mangily c'è un gran movimento, e facciamo quasi fatica a trovare una camera che ci aggradi. E' lunedì di Pasquetta, e i Malgasci sono tutti a fare il picnic come da tradizione, in questo caso alla spiaggia. Passeggiamo sulla spiaggia fino a Ifaty, il villaggio vicino, dove non ci sono alberghi ma case di pescatori. E per strada troviamo un albergo più tranquillo, gestito da una coppia di Provenzali (Caroline ritrova la parlata della sua terra); il giorno dopo ci trasferiamo, e facciamo un giro in piroga fino alla barriera corallina per usare maschera e boccaglio che ci siamo portati dietro. |
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